«Ero già
andata via di casa quando mio padre, dopo un anno di quiete, provò
a strangolare mia sorella. Lei mi ha chiamata, me la sono andata a
prendere. Dopo poco ci ha raggiunto anche l'altra». Unite nella stessa casa,
finalmente lontane da lui, le tre ragazze decidono di non tacere più. Dalla
loro parte c'è solo il compagno di Federica: «Un uomo diverso da quello cui
eravamo abituate. Con lui ci siamo rivolte a un centro antiviolenza e
per la prima volta qualcuno ci ha teso la mano. Ci hanno spiegato che la colpa
non era nostra. Che mio padre avrebbe comunque trovato un motivo
per picchiarci. Che la soluzione era la denuncia». Comincia così un
faticoso processo, durato nove anni.
«Nostro padre è stato condannato in primo appello
come colpevole di tutte le accuse, senza attenuanti. Purtroppo, per
la lentezza del sistema italiano, la parte penale del reato è
andata in prescrizione». Oggi Federica è una stimata professionista, una
donna che non ha perso la fiducia negli uomini: «Perché sarebbe una
violenza nella violenza». L'unica parola che respinge è quella che spesso si
usa in questi casi: vittima. «Io non sono una vittima. Mia madre
è una vittima. Quando parli ti trasformi, e da vittima diventi una persona
che riprende in mano la sua vita. È dura, specialmente in Italia dove
i mezzi sono pochi: ma quelli che ci sono bisogna usarli. Se tornassi indietro
lo rifarei, perché oggi sono libera dalla paura. La cosa peggiore è stare
zitte. «Stai zitta, deficiente» è quello che dicono i violenti. Stare zitte
aiuta solo loro».
Un'ottima idea l'argomento trattato in questo blog; un argomento toccante e particolarmente delicato per la vita di una donna. L'aspetto più interessante del blog è quello di fornire informazioni riguardanti l'autodifesa e la tutela della donna stessa, tematiche spesso non affrontate e sottovalutate nel quotidiano.
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